Bambini nella tempesta della separazione coniugale
E’ bene conoscere e prevenire il vero dramma provato dai soggetti più deboli della famiglia
Emma: “… Non mi aspettavo che i miei genitori si separassero… però mi sono sentita sollevata perché finiva il casino…ma mi dispiace per mio fratello, cresci diversamente con due genitori separati, dubiti anche nelle altre relazioni con le persone che incontrerai nella vita… Credo che se i tuoi stanno insieme, cresci più sicuro, hai una personalità più solida, puoi allacciare legami più duraturi…” Chiara: “…non piango perché loro litigano, sono preoccupata… non perché si separano, ma per come litigano, per quello che potrebbe succedere… magari il papà fa del male alla mamma…”.
Ho scelto di parlare con le parole di Emma e Chiara (nomi di fantasia), per parlare di ciò che provano i bambini, i ragazzi coinvolti nella separazione dei loro genitori.
“Il matrimonio -scrive Malinowski- rappresenta uno dei più difficili problemi personali della vita…”. Certe volte l’amore muore, e lo spazio tra ciò che uno deve avere e l’altro può dare non coincide più. Le premesse o le promesse non vengono rispettate, le aspettative insoddisfatte sfociano in torti, insulti. Ci si fa deliberatamente del male e non si tollera più niente. Ogni pretesto viene usato contro l’altro. La fine del matrimonio rappresenta sempre un lutto, la perdita di un progetto di vita, la delusione di non far più parte di una coppia e molto altro ancora.
Nell’ultimo decennio si è assistito ad un progressivo aumento delle disgregazioni familiari, delle separazioni e dei divorzi di coppie con figli. Fare famiglia richiede elevati investimenti, creare una famiglia è fonte di stress e di vulnerabilità; oggi non si può più considerare un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Si sa che i genitori, scegliendo di formare un nucleo familiare, si assumono il dovere di garantire le cure necessarie alla crescita della prole, ma ciò che forse passa in secondo piano è che essi esercitano anche un’enorme influenza sullo sviluppo emozionale ed affettivo dei figli.
Appare evidente che, allo stesso modo così come da adulti ci preoccupiamo di assicurare l’indispensabile e di rispondere ai bisogni dei nostri figli, dobbiamo prendere sul serio le emozioni dei nostri bambini e dei nostri ragazzi.
Le emozioni dei figli coinvolti in una separazione coniugale sono tante e sono in parte l’effetto di un dolore, intimo ed immenso. Talvolta i figli sembrano non avere manifestazioni che si discostino dalla normalità. L’assenza di manifestazioni può far credere che il bambino/ragazzo non si preoccupi di ciò che succede tra i genitori, che la cosa non lo riguardi. Invece i figli sono preoccupati di non capire cosa succede, perché i genitori discutano, chi abbia cominciato. Per gli adulti e i bambini, per tutto il nucleo familiare, la separazione corrisponde ad uno stato di sofferenza profonda, di rottura di un equilibrio, che cambia un assetto e crea disorientamento. Prima di consolare o parlare con i figli, è fondamentale ascoltarli, lasciare che si esprimano. Ma è necessario ascoltarli in tutti i sensi e “con” tutti i sensi, non solo con le orecchie. I bambini vanno prima di tutto guardati, perché spesso il loro sguardo esprime quello che le parole non dicono. Così il loro modo di spostarsi, di muoversi, fa capire cosa davvero provino e pensino.
Quanto dolore può sostenere un bambino senza poterlo esprimere in famiglia, senza poterlo dire nemmeno a se stesso?
Immaginate che il bambino arriva al punto in qui egli non sa più dove sia finita la sua famiglia, la sua casa; anche se ora ne le ha tutte e due, per lui è come se non ne avesse nessuna.
La casa è divisa, diviso è l’amore, divisa è la sicurezza e la famiglia, diviso è lui.
E’ normale che un bambino soffra per la divisione dei genitori, ed è vitale che sia aiutato a sopportarla meglio che può. E’ importante che la sua tristezza trovi un modo per raccontarsi.
La famiglia media cerca di solito di prevenire e risolvere i disturbi e i disagi dei propri figli senza ricorrere all’aiuto del professionista. Infatti, il compito del terapeuta non è quello di sostituire la famiglia funzionante; tuttavia egli può affiancarla, quando la stessa famiglia non può funzionare bene. E’ possibile così trovare un aiuto quando sta per abbattersi sulla casa, sul nucleo familiare, una tempesta che travolgerà tutto e tutti. E nulla, poi, sarà più come prima.
Il ruolo dello specialista è allorta quello di dare sostegno alla genitorialità, con il compito di recuperare le funzioni che sono state messe in ombra dal conflitto. Uno degli obiettivi è cercare nuovi canali di comunicazione e soprattutto ricondurre i genitori ad un pensiero comune sui figli. Nessuno di noi genitori vorrebbe fare deliberatamente qualcosa per mutilare moralmente, spiritualmente ed emotivamente i propri figli, ma talvolta nel conflitto è quello che capita. Spesso, la contesa per l’affidamento dei figli avviene con un accanimento tale, che i coniugi impegnati nella lotta per garantirsi il titolo di buon genitore finiscono per osteggiarsi, non accorgendosi delle conseguenze del loro comportamento sui figli. La conflittualità degli adulti può essere così distruttiva da far sentire il bambino responsabile, con la propria presenza/assenza, della felicità del genitore. La relazione alterata, soprattutto a livello emotivo può dare spazio a incomprensione, atteggiamenti di difesa, competizione e manipolazione. Nei figli c’è confusione e conflitto di lealtà, cioè essi temono che ciò che provano per un genitore possa ferire l’altro. Pensano: “Se io mi diverto con papà, renderò triste la mamma”, come se dovessero scegliere; e loro, che naturalmente vogliono bene ad entrambi i genitori, stanno davvero male.
Molti bambini sono precocemente coinvolti nei problemi di coppia dei loro genitori e ciò dà origine ad ansie, turbamenti e altri problemi. Secondo Packard (1983), per molti bambini crescere significa chiedersi se i propri genitori si separeranno o, se già si sono separati, se dovranno vivere per sempre con un solo genitore. Il momento difficile della crisi coniugale vuole spesso dire che i bambini hanno a che fare con genitori distratti, incentrati sul proprio ruolo nella vita. Per i bambini vuol dire essere spesso soli e talvolta adattarsi a convivere con un “estraneo”. Quello che risulta essere un periodo difficile e stressante per un adulto, lo è anche e soprattutto per un bambino o per un ragazzo. Oltre una certa soglia, questo accumulo di stress può creare problemi. I figli allora mettono in atto comportamenti regressivi, perdono di autonomia (esempio tornano nel lettone); al contrario, si dimostrano ipermaturi e superautonomi (“non ti preoccupare, d’ora in poi sarò io l’uomo di casa”). Talvolta si allineano in maniera esclusiva ad uno dei due genitori, sviluppando una reazione di repulsione e rispingimento dell’altro. A volte si finisce con l’attribuire al figlio un ruolo che non dovrebbe avere, di partner, di genitore; “…è così sensibile, pensi che è lui che consola me… lei è una bambina forte, non ha mai pianto…”.
I bambini percepiscono il disagio che c’è in famiglia, ma non sempre hanno gli strumenti per comprenderne le cause reali e tendono ad attribuirsene la colpa. La situazione conflittuale, che precede e succede alla separazione, rappresenta un fattore pregiudizievole per la salute psicofisica e relazionale dei figli che, in genere, tendono ad assumere un comportamento strategico-difensivo mostrando, a tratti, una buona capacità di adattamento ed evitando di manifestare la propria sofferenza. In genere, però, questo coperchio messo a coprire la “pentola”, quasi a tapparsi la bocca, fa si che la sofferenza dei bambini si traduca in altri sintomi: fobie, disturbo del sonno, dell’alimentazione o del comportamento; comportamento che cambia, ma di solito fuori casa, spesso a scuola, bambini distratti, che sottraggono il materiale degli altri, che diventano impertinenti e che attuano atteggiamenti di scherno e derisione. Oppure bambini silenziosi, con “la testa altrove”, che piangono per nulla.
E’ noto che i bambini hanno bisogno di stabilità, di riferimenti chiari e facili, hanno bisogno di essere attorniati da persone che gli comunicano calore, la sensazione di essere al centro dei loro pensieri, di contare. Un bambino si sente più forte se può esibire una famiglia forte, unita, “regolare” e che risponda alla sua ricerca di identità, al bisogno di appartenere. Invece, nella separazione, i problemi e i conflitti si ripercuotono sui minori, che si sentono merce di scambio, si sentono messi al centro di ripicche e contese, si sentono di non appartenere più a nessuno e che niente gli appartenga davvero più. Il senso di perdita genera angoscia. Se al figlio la perdita sembra permanente e definitiva, l’angoscia può arrivare a lasciare il posto alla depressione e alla disperazione.
I figli si sentono soli e tristi, colpevoli (“forse l’ho costretto io ad andarsene”), impotenti (“cosa posso fare io, che sono solo un bambino, per farli tornare insieme?”), indesiderabili; pensano di non meritare niente (“non pensano più a me, non conto niente e non mi vogliono più”). Inizia a crescere progressivamente in loro la paura di perdere un genitore, il senso di impotenza, la gelosia e il conflitto di lealtà, la fantasia di riunificazione. Tutti i figli di separati sperano nel loro intimo che i genitori tornino insieme, lo sperano anche quando hanno quarant’anni, anche quando razionalmente sanno che non sarà possibile, anche quando ammettono che “è meglio di no”.
Non è mia intenzione spiegare ai genitori come debbano comportarsi; possiamo ingolfarci di informazioni su come allevare i figli e cercare di essere buoni genitori, ma niente e nessuno ci risparmierà di commettere inevitabili errori. Questa è la distanza tra “sapere” e “fare”. Si può sbagliare perché vi sono eventi nella vita che possono assorbirci totalmente e proprio quando i figli hanno bisogno di noi non possiamo esserci, per aiutarli.
Solitamente, come Neuropsichiatra infantile, mi capita di intervenire quando il problema è ormai evidente, ma credo fermamente che nelle situazioni di conflitto familiare il lavoro è un buon lavoro quando ha il compito di prevenzione, di supporto alla famiglia. Il ruolo del Neuropsichiatra infantile, in genere, è quello di occuparsi dello sviluppo affettivo dei bambini/ragazzi e di ciò che dal punto di vista ambientale interferisce con la loro maturazione. Il nostro compito è quello di insistere sul diritto dei minori di essere felici e sul dovere di ogni genitore di aiutarli ad esserlo. Prevenire l’infelicità è possibile, formulando un progetto educativo in cui i genitori condividano uno spazio mentale in cui collocano i propri figli, anche con stili diversi, ma coerenti.
So bene che è difficile legittimare e dare un’immagine buona dell’altro genitore che è stato fonte del proprio dolore, che ferisce; ma ci si può riuscire, se si riconosce che anche l’altro ha in qualche misura subìto e provato una parte dello stesso dolore. Si può riuscire a trovare un campo neutro, soprattutto se si tiene ben presente che il bambino deve restare il soggetto di cui prendersi cura, sempre e prima di tutto. La coppia decide di mettersi insieme e decide poi di separarsi, il bambino non decide niente; né di avere quei due genitori, né di essere diviso a metà. Non ha scelto lui, non lo vuole, non né ha colpa. Non è possibile restituirgli ciò che c’era prima, ma è possibile riconsegnare ai figli la loro famiglia, trasformata. Se i genitori restano un buon padre e una buona madre offrono tutto ciò che al figlio serve. Se continueranno ad occuparsi di lui condividendo le informazioni, permettendo che continuino a frequentare le famiglie di origine (nonni e zii dell’ex-coniuge), pensando che questo sia un loro diritto, senza rancori, essendo presenti agli impegni che lo riguardano, basterà perché lui torni ad essere sereno. Capisco bene che ciò possa essere faticoso, ma è uno sforzo che va fatto.
Il nostro compito è di trovare una voce che vada oltre le urla, cercando di ritornare sui fatti e dandone una lettura diversa, evitando però di riaprire le ferite. E’ essenziale presentare ai ragazzi le cose con un linguaggio adatto a loro, spiegando ciò che sta succedendo, proteggendoli dai danni dovuti ai silenzi pesanti, perché “non si sa cosa dire, perché non c’è bisogno di spiegare… perché l’hanno capito da soli…”. Spiegare che c’è un problema nella coppia coniugale toglie i figli dalla confusione e dal continuo impegno mentale, per capire cosa succede tra mamma e papà.
Non è necessario spiegare “tutto”, anzi si deve mettere un filtro e lasciare che sappiano solo ciò che serve. Ai figli non servono i dettagli: chi ha deciso la separazione, che sia assegnata una colpa, che sia trovato un motivo. I figli non possono diventare i confidenti o consiglieri. Vanno protetti dagli atteggiamenti che spontaneamente e inconsapevolmente vengono utilizzati per riavvicinarsi al partner, per ristabilire i contatti e mantenere un legame e, quando questo non è possibile, che diventino mezzo di comunicazione alternativo ad email e sms, per sfogare la collera e dare spazio al risentimento.
Meglio intervenire prima, permettendo agli ex coniugi di trovarsi in uno spazio comune “per il bene dei figli”, ma anche per il loro, in un rapporto cambiato nell’assetto e nei sentimenti, nel quale non esista più la “coppia coniugale” ma emerga integra la “coppia genitoriale”.
Lo spazio neutro permette agli ex coniugi di anteporre il loro essere genitori a tutto il resto, permette ai figli di ritornare ad essere la priorità, di recuperare il loro inestimabile valore, di individui impegnati a crescere.
Dott.ssa Cristina Albertini
Neuropsichiatria infantile